Informativa 17/2018 Agevolazioni, Studi di Settore, STP, Ecobonus, Privacy
Agevolazioni fiscali per il cinema – I nuovi requisiti per le agenzie per il lavoro – Per la Cassazione inapplicabili gli studi di settore per le imprese in crisi – Maggioranza di 2/3 di soci professionisti per le STP – I professionisti detraggono le ritenute secondo il principio di cassa – Ecobonus: più tempo per trasmettere i dati all’ENEA – Il parere della Cassazione sulla residenza nella casa delle vacanze – Privacy: le operazioni “presentaci un amico” e il GDPR
Il MIBACT ha definito la suddivisione dei fondi destinati al Fondo per il cinema e l’audiovisivo, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali illustra i nuovi requisiti richiesti alle Agenzie per il lavoro, la Cassazione si esprime sull’applicabilità degli studi di settore per le imprese colpite da crisi, per poter procedere all’iscrizione negli albi professionali delle Società tra Professionisti è necessaria la maggioranza di 2/3 di soci professionisti, secondo la Cassazione il professionista deve detrarre le ritenute seguendo esclusivamente il principio di cassa, l’ENEA comunica che c’è più tempo per trasmettere i dati per l’Ecobonus, la Cassazione si esprime sulla possibilità di avere la residenza nella casa delle vacanze, PRIVACY: le operazioni di marketing quali “Porta un amico”sono conformi al GDPR?: questi i principali argomenti trattati nella Circolare
SOMMARIO
- AGEVOLAZIONI FISCALI PER IL CINEMA: ARRIVA IL DECRETO PER LA RIPARTIZIONE DELLE RISORSE
- AGENZIE PER IL LAVORO: NEL DM I NUOVI REQUISITI PER POTER OPERARE
- STUDI DI SETTORE: INAPPLICABILI PER LE IMPRESE COLPITE DA CRISI ECONOMICA
- STP: RICHESTA LA MAGGIORANZA DEI 2/3 DEI SOCI PROFESSIONISTI
- RITENUTE: PER IL PROFESSIONISTA VALE SEMPRE IL CRITERIO DI CASSA
- ECOBONUS 2018: PIU’ TEMPO PER TRASMETTERE I DATI PER I LAVORI CONCLUSI ENTRO IL 30 MARZO 2018
- RESIDENZA NELLA CASA DELLE VACANZE: PUO’ ISCRIVERSI ALL’ANAGRAFE SOLO CHI VIVE NEL COMUNE
- OPERAZIONI “PORTA UN AMICO” E GDPR: SONO ANCORA AMMESSE?
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AGEVOLAZIONI FISCALI PER IL CINEMA: ARRIVA IL DECRETO PER LA RIPARTIZIONE DELLE RISORSE
Il MIBACT con il DM 15 marzo 2018 ha definito la suddivisione dei 400 milioni di euro destinati al Fondo per il cinema e l’audiovisivo.
1.1 Agevolazioni fiscali per il cinema: il decreto
Il Ministero dei Beni Culturali dispone la ripartizione degli stanziamenti previsti dalla legge 220/2016 che prevede l’istituzione del Fondo destinato al finanziamento degli interventi finalizzati al sostegno del settore cinematografico e audiovisivo.
Diversi gli strumenti previsti:
- incentivi e agevolazioni fiscali attraverso lo strumento del credito d’imposta;
- contributi automatici alle imprese;
- contributi selettivi:
- contributi alle attività e alle iniziative di promozione cinematografica e audiovisiva.
1.2 Agevolazioni fiscali per il cinema: ripartizione del Fondo per il cinema e l’audiovisivo
Il Fondo, per 227 milioni di euro su un totale di 400 milioni, è destinato alle agevolazioni fiscali. Le risorse sono così ripartite:
- 122,5 milioni per il credito di imposta per le imprese di produzione;
- 11 milioni per il credito di imposta per le imprese di distribuzione;
- 32,5 milioni per il credito di imposta per le imprese dell’esercizio cinematografico, per le industrie tecniche e di postproduzione;
- 26 milioni per il credito di imposta riconosciuto agli esercenti sale cinematografiche per il potenziamento dell’offerta cinematografica;
- 25 milioni per il credito di imposta per l’attrazione in Italia di investimenti cinematografici e audiovisivi;
- 10 milioni per il credito di imposta per le imprese non appartenenti al settore cinematografico e audiovisivo.
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AGENZIE PER IL LAVORO: NEL DM I NUOVI REQUISITI PER POTER OPERARE
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DM 10 aprile 2018 recante i requisiti delle Agenzie per il lavoro, in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 276/2003.
2.1 Agenzie per il lavoro: competenze professionali
Pubblicato in G.U. n. 117 del 22 maggio 2018, il DM 10 aprile 2018 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che illustra i nuovi requisiti delle Agenzie per il lavoro, in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 276/2003.
Il decreto individua innanzitutto i requisiti da rispettare in merito alle competenze professionali che devono essere garantite, in particolare:
“Per personale qualificato si intende personale dotato di adeguate competenze professionali che possono derivare, alternativamente, da un’esperienza professionale di durata non inferiore a due anni acquisita in qualità di dirigente, quadro, funzionario o professionista, nel campo della gestione o della ricerca e selezione del personale, della somministrazione di lavoro, della ricollocazione professionale, dei servizi per l’impiego, della formazione professionale, dell’orientamento, della mediazione tra domanda e offerta di lavoro o nel campo delle relazioni industriali.”
2.2 Agenzie per il lavoro: locali per l’esercizio dell’attività
Il DM impone inoltre una serie di requisiti di idoneità dei locali adibiti all’esercizio dell’attività delle agenzie per il lavoro.
In particolare:
“Per lo svolgimento delle attività di somministrazione e intermediazione è richiesta la presenza di almeno sei sedi operative adibite a sportello in almeno quattro regioni sul territorio nazionale.
I locali adibiti a sportello per lo svolgimento delle attività autorizzate alla somministrazione e intermediazione devono possedere, in aggiunta ai requisiti previsti dal comma 3, i seguenti:
- a) garanzia di una fascia di venti ore settimanali minime di apertura degli sportelli al pubblico;
- b) presenza di almeno due operatori per ogni sede opera
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STUDI DI SETTORE: INAPPLICABILI PER LE IMPRESE COLPITE DA CRISI ECONOMICA
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12273 del 2018, ha ritenuto nullo l’accertamento basato sugli studi di settore di un’impresa che aveva subito una considerevole contrazione delle commesse a causa della crisi economica.
3.1 Studi di settore: il caso di specie
Il caso di specie riguarda un’impresa che ha impugnato un avviso di accertamento che in applicazione degli studi di settore ha rilevato maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati, procedendo alla liquidazione di IRPEF, addizionale regionale, contributi INPS, IRAP e IVA.
CTP e CTR hanno accolto le motivazioni del contribuente affermando che “era onere dell’Amministrazione finanziaria provare il maggior reddito accertato, pur in presenza di un reddito del contribuente inferiore a quello derivante dagli studi di settore, e che in ogni caso lo studio di settore applicato all’Ufficio era proprio quello presentato dal contribuente e dallo stesso compilato”.
3.2 Studi di settore: la sentenza della Suprema Corte
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12307 del 18 maggio 2018, rende definitivamente nullo l’atto impositivo sostenendo che:
“la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente […] in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello ‘standard’ prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.”
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STP: RICHESTA LA MAGGIORANZA DEI 2/3 DEI SOCI PROFESSIONISTI
Con comunicato emanato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili è stato chiarito che, per poter procedere all’iscrizione negli albi professionali delle Società tra Professionisti, le stesse debbano rispettare simultaneamente i requisiti previsti dall’art. 10, comma 4, lettera b) della legge 183/2011.
Possono, dunque, essere iscritte negli albi professionali, le STP il cui atto costitutivo preveda la nomina, in qualità di soci, dei professionisti iscritti ad ordini ed albi, dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante, ovvero dei soggetti non iscritti a nessun albo ma con determinate competenze tecniche. Condizione necessaria è che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale degli stessi debbano essere tali da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci; ” il venir meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell’ordine o collegio professionale presso il quale è iscritta la società procede alla cancellazione della stessa dall’albo, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi ”
Quanto comunicato è avvalorato dalle disposizioni emanate dalla Legge 247/2012 (modificata dalla legge 124/2017, art.1, comma 141) che ha riformato la disciplina dell’ordinamento forense disponendo che nelle società tra avvocati, i soci, per almeno 2/3 del capitale sociale e dei diritti di voto devono essere avvocati iscritti all’albo o professionisti iscritti ad altro albo professionale.
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RITENUTE: PER IL PROFESSIONISTA VALE SEMPRE IL CRITERIO DI CASSA
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12307 del 2018, stabilisce che il professionista non può scomputare le ritenute indipendentemente dall’anno di imposta in cui è avvenuto l’incasso.
5.1 Ritenute: il caso di specie
Il caso di specie riguarda un professionista che ha ricevuto una cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle Entrate, per maggior imponibile IRPEF rilevato in conseguenza della operata riduzione dell’ammontare delle ritenute d’acconto per violazione del criterio di imputazione temporale delle stesse.
La CTP “ritenendo legittimo l’operato dell’Ufficio, respinse l’opposizione della contribuente, che si appellò alla Commissione tributaria regionale della Campania, la quale, con la sentenza n. 428/50/12, respinse il gravame e confermò la sentenza di primo grado, sul rilievo che, ai fini dell’imputazione delle fatture relative a prestazioni professionali, assume rilievo il momento della emissione e non quello del loro pagamento”.
5.2 Ritenute: la sentenza della Suprema Corte
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12307 del 18 maggio 2018, respinge il ricorso del contribuente basando la propria decisione sul principio di cassa affermando che:
“la predetta regola sull’imputazione temporale dei componenti di reddito non consente al contribuente di ascrivere liberamente un componente positivo o negativo di reddito ad una piuttosto che ad un’altra annualità d’imposta, ed in tal senso va corretta (art. 384, ultimo comma, c.p.c.) l’affermazione del giudice di appello circa la nozione di reddito per cassa o per competenza rilevante ai fini fiscali qui considerati.”
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ECOBONUS 2018: PIU’ TEMPO PER TRASMETTERE I DATI PER I LAVORI CONCLUSI ENTRO IL 30 MARZO 2018
Il portale a cui accedere per trasmettere all’ENEA tutta la documentazione necessaria (attestazione di certificazione energetica e scheda informativa riassuntiva degli interventi realizzati) per poter usufruire delle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio nelle percentuali definite dalla legge di bilancio 2018 è attivo dal 30 marzo 2018.
Tenuto conto dell’impossibilità di poter comunicare i dati da parte dei soggetti interessati prima di tale data, l’ENEA ha dato formale comunicazione che tutti coloro che hanno concluso i lavori ed effettuato il collaudo prima del 30 marzo 2018 beneficiano di una proroga necessaria della scadenza di presentazione dei dati: il termine di 90 giorni, previsto per la trasmissione della documentazione necessaria per poter usufruire dell’Ecobonus, non decorre dalla data di chiusura dei lavori ma bensì dal 30 marzo 2018.
L’Enea in apposita nota specifica che “ Limitatamente alla trasmissione dei dati per gli interventi di ristrutturazione edilizia che accedono al bonus casa – detrazioni 50% (da non confondere con l’ecobonus) terminati nel 2018 che comportano riduzione dei consumi energetici, si è in attesa di specifiche indicazioni da parte delle istituzioni di riferimento. Per questi ultimi interventi, si invitano gli utenti a non trasmettere ad ENEA dati e/o documenti fino all’apertura dell’apposito nuovo sito ”
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RESIDENZA NELLA CASA DELLE VACANZE: PUO’ ISCRIVERSI ALL’ANAGRAFE SOLO CHI VIVE NEL COMUNE
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13241 del 2018, afferma che non è possibile indicare come residenza la casa delle vacanze poiché occorre dimostrare di dimorare stabilmente nel Comune in cui è sito l’immobile.
7.1 Residenza nella casa delle vacanze: il caso di specie
Il caso di specie riguarda una persona fisica che ha fatto ricorso contro il provvedimento prefettizio che gli ha negato la residenza anagrafica nel Comune in cui è sito un immobile di sua proprietà.
Il tribunale ha rigettato il ricorso poiché a seguito di ripetuti accertamenti negativi effettuati dai vigili urbani del Comune in questione, si desume che il soggetto “non aveva ivi stabilito la dimora abituale, che è un presupposto della residenza, non essendo sufficiente l’occasionale ricezione di corrispondenza” .
Il ricorrente ha proposto reclamo in appello affermando che “ai fini della nozione dei stabile dimora, dovesse tenersi conto anche della volontà del soggetto e non solo del dato oggettivo della permanenza nel luogo” , dimostrando inoltre di aver ritirato due raccomandate nell’ufficio postale del luogo e di aver chiesto che gli accertamenti in loco venissero effettuati dal giovedì alla domenica.
La Corte d’Appello ha rigettato il reclamo affermando che pure tenendo conto dell’elemento soggettivo della volontà del richiedente questa va comunque desunta dalle consuetudini di vita e dalle relazioni sociali del soggetto nel Comune in cui intende stabilire la residenza.
7.2 Residenza nella casa delle vacanze: la sentenza della Suprema Corte
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13241 del 28 maggio 2018, conferma quanto già stabilito da Tribunale e Corte d’Appello, affermando che:
“la residenza di una persona, secondo la previsione degli artt. 43 c.c. e 3 del DPR n. 223 del 1989, è determinata dall’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l’elemento oggettivo della permanenza e per l’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali (Cass. n. 25726 del 2011). L’accertamento di detti elementi in concreto è astrattamente censurabile negli stretti limiti di cui al novellato art. 360 n. 5 c.p.c. che il ricorso in esame non ha valicato.”
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OPERAZIONI “PORTA UN AMICO” E GDPR: SONO ANCORA AMMESSE?
Il Regolamento UE n. 679 del 2016 sul trattamento dei dati personali prevede regole particolarmente ferree per il settore marketing, in particolare se le operazioni di marketing vengono svolte a seguito di decisioni prese sulle persone attraverso sistemi completamente automatizzati.
Una delle regole fondamentali prevista dal GDPR è quella che prevede la necessità di chiedere il consenso al trattamento dei dati personali, consenso che non può essere presunto da altre azioni dell’interessato come può essere la compilazione di un form online o l’acquisto di un prodotto, ma deve essere espresso attraverso un’azione specifica, inequivocabile e tracciabile con cui il soggetto interessato esprima la volontà di ricevere comunicazioni promozionali e/o di essere sottoposto a profilazione, consenso che può essere ritirano in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo dall’interessato stesso. Tutto questo significa che il titolare del trattamento che intenda inviare comunicazioni pubblicitarie dovrà impostare, in particolare se opera online, degli strumenti semplici e immediati che consentano all’interessato di individuare facilmente la specifica richiesta di consenso e di esprimere la sua volontà, manifestando il suo benestare o ritirando quello già espresso.
Pertanto, se ad esempio un cliente compila un form online per ricevere la versione prova di un prodotto o servizio, non significa che abbia manifestato anche un consenso implicito all’invio della newsletter o di altre offerte via email o via telefono, quindi se in tal caso gli inviamo la newsletter o comunicazioni pubblicitarie circa i nostri servizi/prodotti stiamo violando il GDPR; per inviare invece nel modo corretto la newsletter o altre comunicazioni di natura promozionale, è necessario che il form con cui chiediamo all’utente di compilare dei campi per ottenere una versione prova, contenga anche la possibilità di spuntare una specifica casella (quindi non una casella preselezionata, ma una libera scelta mediante un’azione propria di opt-in) corredata dalla richiesta di manifestazione dell’eventuale consenso specificamente domandato per l’invio di tali comunicazioni e solo se l’utente spunta anche questa casella, siamo abilitati a fornirgli pubblicità e lo ribadiamo
Il primo invio e tutti quelli successivi devono poi contenere sempre l’agevole possibilità di ritirare questo consenso. In tal caso, avendo traccia del diniego manifestato, la comunicazione dovrà necessariamente bloccarsi all’ultima in cui l’utente ha espresso il suo rifiuto.
In tali circostanze, infatti, è il nostro cliente che fornisce l’indirizzo email, il numero di telefono o altre informazioni che ci consentiranno di contattare il suo amico che il più delle volte è ignaro di tale cessione dell’informazione di contatto e siccome invece il GDPR impone di chiedere il consenso all’invio di materiale pubblicitario, contestualmente alla raccolta del dato, sembrerebbe che tali operazioni non siano conformi al GDPR.
Quindi? Non potranno essere più svolte operazioni di marketing simili?
In realtà sì, sebbene ci siano degli accorgimenti da tenere presenti. Innanzitutto, occorrerà domandare solo il contatto e non altri dati personali, nemmeno il nominativo in realtà è proprio strettamente necessario per la prima comunicazione, in quanto questo primo invio non dovrà avere le caratteristiche di un avviso pubblicitario, bensì una mera notifica.
In che senso? Nel senso che in questo primo avviso, dovremo presentarci – va anche bene la maniera accattivante, se vogliamo ottenere il consenso – informare l’amico che un nostro cliente ci ha fornito il suo indirizzo email, il suo numero o altro contatto, spiegare perché lo stiamo contattando, presentargli l’informativa con tutto il contenuto previsto dal GDPR in questi casi (cioè nel caso in cui terzi ci abbiano comunicato i dati) e chiedere a questo punto il consenso all’invio delle nostre comunicazioni promozionali. Solo dopo aver informato correttamente sul trattamento e ricevuto il consenso, potremo iniziare ad inviare le nostre pubblicità in maniera conforme alla norma.
Naturalmente, se il soggetto in questione non risponde e non manifesta il suo consenso, i suoi dati dovranno essere cancellati dai nostri database (anzi non dovrebbero essere proprio memorizzati o processati), a meno che non abbiamo già un sistema automatizzato che li cancelli per noi.
Se diversamente conserviamo questi dati, li memorizziamo e inviamo a tali indirizzi o numeri, offerte commerciali, senza che il destinatario abbia espresso il suo consenso verificabile e tracciabile, stiamo violando il GDPR.
In definitiva: le operazioni di marketing denominate “Porta un amico” sono ancora valide, ma con opportuna attenzione, tenendo presente che nessuna email, nessun SMS, nessuna chiamata a carattere pubblicitario devono essere effettuati senza aver ottenuto il consenso specifico, espresso, tracciabile e inequivocabile dell’interessato.