Informativa 26/2018 Autofattura: risvolti su esportatore abituale e fatturazione elettronica

Informativa 26/2018 Autofattura: risvolti su esportatore abituale e fatturazione elettronica

Detrazione IVA

anche senza autofattura per l’esportatore abituale

Con la risposta all’ interpello n. 28 del 5 ottobre 2018, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il cessionario/committente esportatore abituale che abbia ricevuto avviso di accertamento per splafonamento può procedere ad operare la detrazione IVA di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, qualora ne ricorrano i presupposti, sempre che abbia aderito all’avviso di accertamento pagando imposte, sanzioni ed interessi. Quindi, anche in tal caso, tornano applicabili le disposizioni di cui all’art. 60, comma 7 del D.P.R. n. 633/1972.

L’Agenzia delle Entrate, con la propria Circolare n. 35/E del 17 dicembre 2013, ha chiarito che nei casi in cui siano stati contestati ad esportatori abituali acquisti senza il pagamento dell’IVA oltre il limite del plafond disponibile, agli stessi è concessa la possibilità di esercitare direttamente il diritto alla detrazione dell’IVA, di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, pagata a seguito di accertamento.

Nel dettaglio l’Agenzia delle Entrate aveva affermato che: “La responsabilità dell’esportatore abituale costituisce una deroga al principio, delineato dall’articolo 17 del D.P.R. n. 633 del 1972, secondo cui l’IVA è dovuta dal cedente/prestatore, previo addebito dell’imposta alla controparte a titolo di rivalsa, ed è detraibile, ai sensi dell’articolo 19, del DPR n. 633 del 1972, dal cessionario/committente”.

Va da sé che: “sebbene l’articolo 60, settimo comma, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 preveda l’esercizio della detrazione da parte del cessionario o del committente a seguito della rivalsa operata in fattura dal cedente o dal prestatore, la tutela del principio di neutralità del tributo impone che la facoltà di detrarre l’IVA pagata in sede di accertamento, sia riconosciuta anche nelle ipotesi in cui, in deroga alle comuni regole di funzionamento del tributo, sia debitore d’imposta il cessionario/committente in luogo del cedente/prestatore”.

Novità

Ciò premesso si evidenzia che l’Agenzia delle Entrate con la risposta all’interpello n. 28/2018, del 5 ottobre 2018, la quale richiama anche il precedente orientamento contenuto nella citata circolare n. 35/E/2013, ha affermato che nel caso oggetto di interpello, considerato che il cessionario/committente esportatore abituale, a seguito della conciliazione conclusa ai sensi dell’art. 48 del D.Lgs. n. 546 del 1992, ha versato l’intero ammontare dell’IVA dovuta in qualità di debitore d’imposta, nonché delle sanzioni e degli interessi, lo stesso potrà procedere alla detrazione dell’IVA versata. Inoltre, è stato affermato che in tal caso il cessionario/committente esportatore abituale potrà anche non emettere autofattura, ancorché se ne consiglia l’utilizzo per avere traccia della detrazione IVA effettuata.

Soggetti interessati

Sono interessati a tale adempimento gli esportatori abituali ai fini IVA.

Procedure

Allo scopo di comprendere la portata del chiarimento contenuto nella risposta n. 28/2018 risulta opportuno ricordare che l’art. 60, settimo comma, del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che: “Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”.

La disposizione normativa torna applicabile solo nei casi in cui l’avviso di accertamento o rettifica contesta l’omessa ovvero errata applicazione dell’IVA da parte del cedente/prestatore come ad esempio:

  • operazioni fuori campo IVA (artt. 2, 3, 4, 5 7 ss. del DPR n. 633/1972), che secondo l’Ufficio accertatore dovevano essere assoggettate da parte del contribuente ad IVA;
  • operazioni non imponibili ad IVA (artt. 8, 8-bis, 9, 72 del DPR n. 633/1972), che secondo l’Ufficio accertatore dovevano essere assoggettate da parte del contribuente ad IVA;
  • operazioni esenti da IVA (art. 10 del DPR n. 633/1972) che secondo l’Ufficio accertatore dovevano essere assoggettate da parte del contribuente ad IVA;
  • operazioni per le quali il contribuente ha applicato un’imposta agevolata (10% ovvero 4%) anziché quella ordinaria (22% dal 1° ottobre 2013 ovvero 21%);
  • operazioni per le quali il contribuente ha “fatturato” un minor corrispettivo (con emersione di “nero”).

L’Agenzia delle Entrate, con la propria CM n. 35/E del 17 dicembre 2013, ha chiarito che quanto disciplinato dall’art. 60, comma 7 del DPR n. 633/1972 (in tema di detrazione IVA su avvisi di accertamento) presuppone la definizione dell’accertamento ed il pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi.

Nel dettaglio si tratta di quanto dovuto sulla base di un accertamento resosi definitivo attraverso uno degli istituti di seguito elencati.

Avvisi per i quali tornano applicabili le disposizioni di cui all’art. 60, comma 7 del d.p.r. n. 633/1972

  • accertamento con adesione, di cui agli articoli 6 e seguenti del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218;
  • adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio di cui ai commi 1-bis e seguenti, dell’articolo 5 del d.lgs. n. 218 del 1997;
  • adesione ai processi verbali di constatazione di cui all’articolo 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997;
  • acquiescenza di cui all’articolo 15 del d.lgs. n. 218 del 1997;
  • conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48 del d.lgs. n. 546 del 1992;
  • mediazione di cui all’articolo 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546; oppure
  • per mancata impugnazione dell’atto di accertamento nei termini previsti dalla legge, ovvero, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza, nell’ipotesi di contestazione, in sede giudiziale, della pretesa dell’amministrazione finanziaria.

Non è, invece, consentita la rivalsa, né l’esercizio del diritto alla detrazione, dell’imposta o della maggiore imposta versata a seguito di atti non divenuti definitivi

 Attenzione: Allo scopo di esercitare il diritto alla rivalsa dell’IVA pagata a titolo definitivo in sede di accertamento il cedente/prestatore dovrà emettere una fattura (o una nota di variazione in aumento di cui all’art. 26, primo comma, del D.P.R. n. 633/1972), con le indicazioni previste dall’art. 21 ovvero, a partire dal 1° gennaio 2013, con i dati semplificati di cui al successivo art. 21-bis (richiamando altresì, laddove emessa/e, la/e fattura/e originaria/e), e con gli estremi identificativi dell’atto di accertamento che costituisce titolo alla rivalsa. Il documento andrà annotato nel registro di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 633/1972 solo per memoria, perché l’imposta recuperata a titolo di rivalsa non dovrà partecipare alla liquidazione periodica, né essere indicata in una posta a debito nella dichiarazione annuale.

Il diritto alla detrazione da parte del cessionario/committente è, invece subordinato, ai sensi dell’art. 60, settimo comma, del D.P.R. n. 633/1972, all’avvenuto pagamento dell’IVA accertata addebitata in via di rivalsa, mediante annotazione del documento integrativo nel registro di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 633/1972.

La norma non prevede particolari oneri a carico del cessionario/committente in ordine al riscontro dell’avvenuto versamento all’Erario dell’imposta oggetto di accertamento, pertanto questi è tenuto solo all’osservanza degli ordinari doveri di diligenza e cautela in ordine alla verifica della correttezza e regolarità della fattura (o della nota di variazione in aumento) emessa da parte del cedente/prestatore.

Casi particolari – Splafonamento da parte degli operatori

Può accadere, nell’operatività, che gli esportatori “splafonino” ovvero superino il plafond disponibile in capo agli stessi.

Si evidenzia che in presenza di “splafonamento”, lo stesso può essere regolarizzato attraverso l’utilizzo di tre distinte procedure (sul punto si vedano, in ordine di tempo, i seguenti documenti di prassi ministeriale: C.M.17 maggio 2000, n. 98/E, C.M. 12 giugno 2002, n. 50/E, C.M. 19 giugno 2002, n. 54/E, C.M. 19 febbraio 2008, n. 12/E, C.M. 12 marzo 2010, n. 12/E tutte confermate dalla più recente R.M. n. 16/E del 6 febbraio 2017):

1) emissione di nota di variazione in aumento da parte del cedente/prestatore;

2) emissione di apposita autofattura

3) in sede di liquidazione IVA periodica.

Si tenga, inoltre, presente che la sanzione prevista in caso di splafonamento oscilla dal 100 al 200% dell’imposta evasa. È possibile sanare spontaneamente tale violazione tramite il ravvedimento operoso (art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997). Il ravvedimento è percorribile sia che lo splafonamento si riferisca ad acquisti interni che ad importazioni.

Casi particolari – Emissione di nota di variazione in aumento da parte del cedente/prestatore

Il cessionario/committente, può regolarizzare gli acquisti effettuati oltre il plafond disponibile richiedendo al proprio cedente/prestatore l’emissione di un’apposita nota di variazione in aumento dell’IVA non addebitata nella/e fattura/e originarie.

Sul punto si evidenzia che la C.M. n. 98/E (par. 8.2.3) del 17 maggio 2000 ha chiarito che lo splafonamento può essere regolarizzato chiedendo al fornitore di emettere apposita nota di variazione in aumento per sola imposta (nota di addebito), ai sensi dell’art. 26, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972.

In tale ipotesi, che prevede il coinvolgimento – non sempre gradito – del cedente/prestatore, l’operatore provvede a versare al fornitore l’ammontare dell’imposta originariamente non applicata. In tal modo, il debito IVA confluisce nella liquidazione periodica del fornitore che ha emesso la nota d’addebito, il quale provvederà a liquidare il tributo originariamente non applicato, “fermo restando l’obbligo del pagamento degli interessi e delle sanzioni” a carico del cessionario/committente, che dovrà apportare le opportune integrazioni in sede di compilazione della dichiarazione annuale IVA. Tenendo presente, comunque, la possibilità di avvalersi del ravvedimento operoso, qualora la violazione commessa non sia stata constatata o accertata.

Si evidenzia, da ultimo, che tale procedura è stata confermata dalla C.M. n. 50/E/2002 (par. 24.2) e dalla successiva C.M. n. 12/E/2008 (par. 10.4) così come da ultimo ad opera della R.M. n. 16/E/2017.

Casi particolari – Emissione di apposita autofattura

Il cessionario/committente può regolarizzare l’avvenuto splafonamento:

  • emettendo un’autofattura in duplice esemplare contenente:
  • gli estremi identificativi di ciascun fornitore;
  • il numero progressivo di protocollo delle fatture ricevute;
  • il relativo ammontare eccedente il plafond disponibile;
  • l’importo dell’imposta che avrebbe dovuto essere indicata nelle fatture ricevute;
  • versando l’IVA non applicata in fattura, oltre agli interessi legali e alle relative sanzioni ridotte (in caso di ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/97). Detti versamenti possono essere effettuati tramite il modello F24, indicando – per l’imposta – il codice tributo del periodo in cui erroneamente è stato effettuato l’acquisto senza applicazione dell’imposta, per gli interessi il codice tributo “1991” e, per le sanzioni, il codice tributo “8904“- sanzione pecuniaria IVA ravvedimento operoso (C.M. 19.6.2002, n. 54/E, par. 16.12; C.M. 12.3.2010, n. 12/E, par. 3.7. e da ultimo confermate dalla RM n. 16/E/2017);
  • annotando l’autofattura soltanto nel registro degli acquisti, ai fini della detrazione dell’imposta versata all’Erario in sede di regolarizzazione;
  • presentando un esemplare dell’autofattura al competente ufficio delle Entrate; l’altro esemplare, munito del visto di avvenuta regolarizzazione, deve essere, invece, annotato sul registro degli acquisti ai fini dell’esercizio del diritto di detrazione dell’IVA;
  • indicando l’ammontare dell’imposta così regolarizzata nel rigo “Variazioni ed arrotondamenti d’imposta” della dichiarazione IVA, anteponendo il segno positivo, e comprendere tale versamento, comprensivo degli interessi, nel rigo “Ammontare versamenti periodici, da ravvedimento, interessi trimestrali, acconto”.

Ai fini della detrazione IVA, l’imponibile e l’imposta risultanti dalla predetta autofattura devono essere indicati nel quadro VF della dichiarazione IVA, nel rigo corrispondente all’aliquota applicata, con la conseguenza che l’importo della fattura del fornitore o della bolla doganale rispettivamente emessa o rilasciata in regime di non imponibilità non deve essere indicato nel rigo “Acquisti e importazioni senza pagamento d’imposta, con utilizzo del plafond”.

 Attenzione: La descritta procedura ha il pregio di non coinvolgere il cedente/prestatore nella regolarizzazione dell’operazione, atteso che la responsabilità sulla regolarità e correttezza della dichiarazione d’intento e, quindi, anche sulla sussistenza del plafond ancora disponibile incombe unicamente sull’acquirente del bene/servizio (C.M. 98/E/2000, risposta 8.2.3).

In sede di liquidazione IVA periodica

Secondo quanto stabilito dalla C.M. n. 50/E del 12 giugno 2002, come confermato da ultimo nella R.M. n. 16/E/2017, risulta possibile procedere a sanare lo splafonamento, mediante ravvedimento in sede di liquidazione periodica.

In tal caso il cessionario/committente dovrà versare mediante F24 la sanzione ridotta, inoltre, dovrà presentare un esemplare dell’autofattura (come evidenziato nel caso precedente e con le medesime modalità) al competente ufficio locale dell’Agenzia e annotare la stessa nel registro degli acquisti.

Anche in tale ipotesi, al fine di evitare la doppia detrazione dell’imposta regolarizzata risulta necessario indicare nella dichiarazione annuale l’imposta regolarizzata anche in una posta di debito.

Quindi, analogamente alla procedura di regolarizzazione basata sull’emissione dell’autofattura, il cedente/prestatore deve:

  • versare, tramite il modello F24, la sanzione amministrativa prevista dall’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 471/1997 (dal 100 al 200 per cento dell’imposta dovuta – tale sanzione sarà ridotta per effetto del ravvedimento operoso);
  • presentare un esemplare dell’autofattura al competente Ufficio Entrate;
  • annotare l’altro esemplare di autofattura nel registro degli acquisti di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 633/1972 per l’esercizio del diritto di detrazione dell’imposta computata a debito a seguito della registrazione dell’autofattura nel registro delle fatture emesse di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 633/1972.

Attenzione: Si fa, inoltre, presente che:

  • se si regolarizza in una liquidazione periodica relativa all’anno nel corso del quale si è verificato lo splafonamento, i dati confluiranno nello stesso periodo in cui è stato effettuato l’acquisto oltre i limiti;
  • se si regolarizza in una liquidazione periodica relativa ad un mese o un trimestre dell’anno successivo, i dati saranno contabilizzati nella dichiarazione annuale successiva a quella in cui si è verificato lo splafonamento.

Attenzione: A differenza della modalità di regolarizzazione dello splafonamento consistente nella mera emissione dell’autofattura (modalità che prevede il contestuale pagamento in F24 dell’imposta, delle sanzioni e degli interessi), nel caso in esame dovranno essere effettuati versamenti distinti per:

  • le sanzioni (mediante specifico mod. F24, utilizzando il codice tributo 8904)

l’imposta e gli interessi (che concorrono alla determinazione dell’IVA derivante dalla liquidazione periodica).

Fatturazione elettronica:

le nuove regole valgono anche per l’autofattura

L’obbligo di fattura elettronica dal 2019, con utilizzo del Sistema di interscambio, ha impatti anche sull’autofattura. Nell’ipotesi di mancato o irregolare ricevimento e in caso di autoconsumo e omaggi, il cessionario/committente deve regolarizzare trasmettendo l’autofattura al Sistema di Interscambio, compilando, nel file fattura elettronica, il campo “TipoDocumento” con il codice “TD20 Autofattura”. Le autofatture emesse a seguito di operazioni transfrontaliere, invece, non devono essere inoltrate attraverso il canale telematico, ma continuano ad essere emesse in formato analogico, con numerazione a parte. Nel caso di integrazione mediante reverse charge in fase di emissione della fattura, può essere predisposto un altro documento, da allegare al file fattura, contenente i dati necessari per l’integrazione e gli estremi della fattura. Allo stato attuale tale documento non deve essere inviato attraverso il SdI.

Dal 1° gennaio 2019 tutte le fatture emesse, a seguito di cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti o stabiliti in Italia, potranno essere solo elettroniche. Le regole per predisporre, trasmettere, ricevere e conservare le fatture elettroniche sono definite nel provvedimento n. 89757 del 30 aprile 2018.

A titolo di esempio, per quanto al momento rileva, tra i vari chiarimenti forniti sulla predisposizione del formato xml è previsto che il campo Tipo Documento sia composto da un formato alfanumerico, della lunghezza di 4 caratteri e i valori ammessi siano i seguenti:

TD01 Fattura
TD02 Acconto/Anticipo su fattura
TD03 Acconto/Anticipo su parcella
TD04 Nota di Credito
TD05 Nota di Debito
TD06 Parcella
TD20 Autofattura

Note di variazione in formato elettronico

Le regole tecniche stabilite per la predisposizione delle fatture elettroniche sono quindi valide anche per le note emesse in seguito alle variazioni previste dall’art. 26 del decreto IVA (note di credito o di debito) sebbene non debbano essere gestite dal Sistema di Interscambio.

Nel caso in cui il cedente/prestatore abbia effettuato una registrazione contabile per una fattura elettronica – posto che il Sistema di Interscambio ha 5 giorni di tempo per recapitare la ricevuta di scarto nel caso in cui la fattura elettronica non abbia superato i controlli e che, in tal caso, il documento si considera omesso – sarà necessario che lo stesso effettui una variazione contabile che deve essere quindi considerata valida ai soli fini interni, senza trasmissione di alcuna nota di variazione al SdI.

Autofattura

Le ipotesi in cui l’ordinamento prevede l’emissione di una autofattura sono sostanzialmente quattro:

  1. a) mancato ricevimento o ricevimento fattura irregolare;
  2. b) acquisto di beni e servizi da soggetti non residenti;
  3. c) omaggi;
  4. d) autoconsumo.

Mancato ricevimento o ricevimento fattura irregolare

L’ipotesi è quella per cui il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare da parte dell’altro contraente, è punito, salva la responsabilità del cedente o del commissionario, con sanzione amministrativa pari al 100% dell’imposta, con un minimo di 250 euro, sempreché non provveda a regolarizzare l’operazione con le seguenti modalità, differentemente a seconda che sussista o meno la relativa fattura:

– a) se non ha ricevuto la fattura, entro 4 mesi dalla data di effettuazione dell’operazione, presentando all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente nei suoi confronti, previo pagamento dell’imposta, entro il 30° giorno successivo, un documento in duplice esemplare dal quale risultino le indicazioni prescritte dall’art. 21, D.P.R. n. 633/1972, relativo alla fatturazione delle operazioni;

– b) se ha ricevuto una fattura irregolare, presentando allo stesso ufficio, entro il 30° giorno successivo a quello della sua registrazione, un documento integrativo in duplice esemplare recante le indicazioni medesime, previo versamento della maggior imposta eventualmente dovuta.

Nel file fattura elettronica

In tali ipotesi quindi il cessionario/committente trasmette l’autofattura al SdIcompilando, nel file fattura elettronica, il campo “TipoDocumento” con un codice convenzionale (“TD20”), e le sezioni anagrafiche del cedente/prestatore e del cessionario/committente rispettivamente con i dati del fornitore e i propri dati.

Se quindi la procedura fino ad oggi prevedeva che in un secondo momento il cessionario/committente presentasse all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente nei suoi confronti, un documento in duplice copia dal quale risultassero le indicazioni prescritte dall’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, tale presentazione è sostituita dalla trasmissione al Sistema di Interscambio dell’autofattura in formato elettronico.

Tra i casi riconducibili alle ipotesi menzionata alla precedente lettere a) si aggiunge ora l’ipotesi in cui il cessionario/committente non abbia ricevuto il documento, né abbia ottenuto dal cedente/prestatore comunicazione relativa alla consegna nell’area riservata del sito web dell’Agenzia delle Entrate dell’originale della fattura elettronica, per cause tecniche.

In questi casi, al fine di non incorrere nella sanzione citata, il soggetto passivo potrà compilare il file della fattura elettronica indicando il codice TD20 nel campo “TipoDocumento”, i dati del fornitore nella sezione anagrafica del cedente/prestatore e i propri in quella del cessionario/committente.

Sebbene tale procedura non debba risultare nuova ai vari operatori economici, la sua applicazione sarà molto più diffusa rispetto al passato, essendo ora l’Agenzia in possesso di tutti i dati necessari per verificare la ricezione dei documenti nei termini menzionati. Si tratta quindi di dare maggiore importanza al monitoraggio periodico delle fatture ricevute dallo SdI e di quelle a disposizione nell’area riservata del contribuente, con la verifica della corrispondenza con le merci ricevute.

Tale procedura sarà da seguire in tutte le situazioni in cui la regolarizzazione avviene in analogia alla previsione dell’art. 6, comma 8, quale, ad esempio, l’ipotesi di autofattura emessa per correggere eventuali errori nell’utilizzo del plafond degli esportatori abituali (cfr. risoluzione n. 16/E/2017).

Acquisto di beni e servizi da soggetti non residenti

L’obbligo della fatturazione elettronica si applica alle sole operazioni domestiche, e non si estende alle operazioni transfrontaliere.

Con riferimento a tali operazioni trova applicazione la comunicazione dei dati indicati nelle fatture emesse e ricevute, da inviare all’Agenzia delle Entrate entro la fine del mese successivo a quello di emissione e/o ricezione delle fatture.

Le autofatture emesse a seguito di tali acquisti non dovranno essere inoltrate attraverso il canale telematico, ma continueranno ad essere emesse in formato analogico, con una numerazione a parte.

Autoconsumo e omaggi

Anche in ipotesi di questo genere si ritiene che le autofatture dovranno essere emesse compilando con il codice alfanumerico TD20 il campo Tipo Documento.

Integrazione fatture e reverse charge

In merito alle fatture per le quali si deve provvedere all’integrazione, mediante l’inversione contabile o reverse charge in fase di emissione, nelle stesse troverà indicazione il codiceN6”, relativo alla natura della cessione.

Per quanto attiene alla procedura in capo al soggetto che riceve la fattura, i chiarimenti allo stato attuale si limitano a quanto riportato nella circolare 2 luglio 2018, n. 13/E nella quale è previsto che non variano le modalità già ritenute idonee in precedenza (cfr. risoluzione n. 46/E del 10 aprile 2017 e le circolari ivi richiamate) secondo le quali può essere predisposto un altro documento, da allegare al file della fattura in questione, contenente sia i dati necessari per l’integrazione sia gli estremi della stessa. Allo stato attuale pare che tale documento non dovrà essere inviato attraverso il sistema di interscambio.

In merito ha preso posizione Assosoftware, in un comunicato stampa del 18 settembre 2018, osservando che “la soluzione proposta di creare un nuovo documento da allegare alla fattura xml valga solo a titolo d’esempio e che resti sempre valida la possibilità di procedere alla semplice registrazione contabile del documento integrato dandone evidenza sulle scritture contabili (Registri IVA e Libro Giornale), portando in conservazione il solo documento di acquisto originario non integrato”.

 

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